Finalmente siamo a Torino, entriamo nel Museo Egizio, nel palazzo della Accademia delle Scienze, il secondo al mondo per importanza dopo quello del Cairo, uno dei più antichi (fondato nel 1824). All'interno è esposta la collezione Drovetti, un importante militare al seguito di Napoleone in Egitto. E' stato proprio il genio che in due anni decifrò i geroglifici, Jean Francois Champollion, a catalogare e sistemare le 100 statue, i 170 papiri, stele, sarcofagi e relative mummie e innumerevoli oggetti d'uso quotidiano portati da lui in Italia.
Causa le numerose lacune nelle datazioni e nei riferimenti agli scavi ben presto prevalsero il Museo del Louvre (con una seconda Collezione Drovetti), il British Museum ed altri che possedevano minor materiale ma catalogato in modo migliore.
Nel 1894 divenne direttore del museo Ernesto Schiapparelli (già direttore del museo archeologico di Firenze). Dalla zona di Tebe si aggiunsero reperti da siti regali o connessi all'ambiente di corte, da Eliopoli, la città sacra del dio del sole Ra, da Giza, attorno alle tre grandi piramidi e da una parte della necropoli con tombe di funzionari delle IV-VI dinastie; dalla Valle delle Regine nella necropoli tebana con sepolture di funzionari, principi e regine del Nuovo Regno (la tomba di Nefertari, sposa di Ramesse II e le tre tombe dei figli di Ramesse III. Ma anche tombe preistoriche e di età greca e romana.
Da qualche anno esiste un progetto di riclassificazione e studio degli scavi fatti dal 1905 al 1920 da Schiapparelli, ritornando sui siti in Egitto per ridare il giusto valore storico, ambientale e scientifico alla massa di materiale in possesso del Museo, in vista anche di un futuro cambiamento di sede.
Ma parliamo di Basenji, di cani in Egitto: numerosi sono i riferimenti allo sciacallo, con le orecchie a punta, accovacciato o in piedi con la folta coda ricadente. La sacralità degli animali in Egitto è conosciuta: c'era la pena di morte per chi uccideva un gatto o un cane. Numerose sono le mummie esposte nelle bacheche della penultima sala del Museo: un coccodrillo, un babbuino, diversi gatti e in un angolo in basso ci sono anche due mummie di cane. Sono piccole, della forma e dimensione di un birillo, finemente fasciate e decorate con la testa a forma di cane con le orecchie a punta.
La prova schiacciante del contatto dei Basenji con la vita quotidiana egizia l'abbiamo trovata sorprendentemente nell'ultima sala. Lungo tutte le pareti sono esposte una serie di pitture a tempera su intonaco di fango e paglia: è linterno della tomba di ITI e della moglie NOFERU (XI dinastia - 2200AC). Provengono da Gebelein, una collina polverosa, un tempo florida città di frontiera, a una trentina di chilometri da Tebe, sulla riva sinistra del Nilo vicino al confine meridionale e quindi in stretto contatto con le popolazioni nubiane del centro Africa.
E' una tomba a portico; Iti era capo dell'esercito e tesoriere del Re. Le scene raffigurate sono particolarmente importanti perchè trattano dei rituali funebri e di vita quotidiana: navigazione, trasporto del grano ai granai, caccia. Proprio nella prima delle due scene con "Basenji" è ben visibile un cane vicino ad un uomo, alto poco meno del ginocchio, slanciato, con le orecchie a punta, la coda arricciata sulla schiena dal manto color sabbia.
La stessa immagine, in atteggiamento diverso, quasi di gioco, è ripresa, sempre vicino al padrone, nella seconda raffigurazione. Per tutti gli altri visitatori era un documento come un altro ma per noi rappresentava la conferma di un mito scoperto con i nostri occhi (non solo letto su un libro di una coppia di antropologi inglesi di inizio secolo) confermato una seconda volta da un'altra immagine a fine mostra, nella stessa tomba, di due cani molto più grandi, uno dei quali nero, tenuti a guinzaglio, dell'esistenza dell'altra razza antica oggi conosciuta con il nome di Pharaon hound.
Dal
2 ottobre al 15 febbraio 2003 è stata allestita la prima mostra storica a livello europeo di Arte Africana
al
Museo
d'Arte Moderna di Torino.
AFRICA:
capolavori da un continente.
Non abbiamo incontrato "basenji"
antichi ma ...Ecco una foto
della nostra visita
Foto "rubate"
A fine Giugno 2004 Lorenzo , padrone di Dante e Marte si è sposato ed è andato in viaggio di Nozze in Egitto.
Ci ha inviato due foto "rubate"
Cultura africana nei Musei di Parigi
Numerose sono state le mie visite ai Musei di Parigi e negli anni le sorprese sono state continue...
La prima volta è successo gironzolando per la nuova ala del Louvre (Africa e Oceania).. mi sono imbattuta in manufatti di fine ottocento in legno e ferro.
Era un CANE CHIODATO proveniente dal Congo: gli occhi a mandorla e lo sguardo tipico del basenji mi ha catturato subito, la bocca aperta con i denti appuntiti e la lingua appena sporgente, quasi un sorriso... poi tra i chiodi fitti e grossi ho intravisto al collo una campana, sulla schiena lo spazio per appoggiare il piattino per le offerte votive degli stregoni.. che li usavano come tramite per parlare con l'Aldilà...dietro, appoggiato sulla schiena, si intravedeva tra il fitto dei chiodi, la coda arricciata sulla schiena.
Ecco alcune altre notizie on line
Non so se è ancora visibile, o se sono stati aggiunti altri reperti, ecco il sito del Museo del Louvre.
Nuovo basenji dal passato
Un
altro CANE CHIODATO era visibile nel Museo dell'Uomo, di Storia Naturale,
molto simile nella fattura e nell'aspetto.. ma non identico.. ne ho perso le
tracce per alcuni anni poi ho saputo della recente inaugurazione del Museo
di Quai Branly e sono andata alla prima occasione, fiduciosa, per
rivederlo...
una
piccola delusione in cambio di una nuova scoperta:
nella
sezione dedicata al Congo, non c'era, ma ho incontrato una nuova scoperta,
un cagnetto seduto, sorridente, con la tipica codina arricciata sulla
schiena:
un nuovo basenji venuto dal passato !
Luisa
Non so esattamente quali furono agli albori le migrazioni o le origini esatte dell'uomo e degli animali suoi contemporanei ma è certo che questa è l'ennesima prova che il basenji anche in questa cultura era un essere magico che silenziosamente, anche qui, ha lasciato una sua traccia.