Johnny_lex
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Oggetto: REPORT GIRETTO ITALIA CENTRALE |
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05.08.2003
La moto è davvero stracarica: forse stavolta abbiamo un po’
esagerato con il bagaglio, confidando nelle 4 borse a disposizione
(serbatoio+2 laterali + bauletto).
Dopo meticolosi preparativi, la nostra avventura in sella comincia
con un po’ di Km di autostrada: lungo la pessima A1 –che ci
annerisce i polmoni più di 20 anni di fumo- solo l’entusiasmo
per la nostra vacanzina appena iniziata sbatte la porta in faccia
alla noia, tra soste per fare benzina e per bere Gatorade
ghiacciato (che a me fa uno strano effetto tipo cocaina).
Stravolti per il gran caldo, lasciamo l’autostrada in prossimità
di Cassino, quindi Sora, Avezzano, poi A24 in direzione
L’Aquila; superato il capoluogo, imbocchiamo l’uscita di
Assergi, e di lì a breve giungiamo a Fonte Cerreto, dove si trova
il nostro Hotel, un Relais di montagna immerso in un meraviglioso
e fresco bosco di conifere, ai piedi del Gran Sasso.
Qui, dopo avere conosciuto il simpatico proprietario della
struttura, un motociclista che con spiccatissimo accento abruzzese
si lamenta della moglie perché poco propensa a fare da zavorrina,
prendiamo possesso della camera, ed abbandoniamo i bagagli per un
primo giro di perlustrazione a moto finalmente scarica.
La prima meta è la più agognata, il vero scopo di questo
viaggio: Campo Imperatore, di cui ho letto più volte su svariate
riviste motociclistiche, non tradisce affatto le aspettative; è
una sconfinata distesa selvaggia, senza tracce di antropizzazione
al di fuori del nastro d’asfalto da noi percorso e di qualche
baracca di legno adibita a rivendita di arrosticini (tipico snack
locale: piccoli spiedini di pecora cotti alla brace). Il primo
approccio è davvero spettacolare, ma non ci addentriamo più di
tanto nel famoso altipiano: ci ritorneremo in seguito; adesso è
tardi, il tramonto è vicino e la temperatura scende più
velocemente del sole dietro le maestose cime del Gran Sasso.
Incalzati dall’ora di cena e dal nostro stomaco infuriato,
decidiamo quindi per un più limitato giretto fino al rifugio
“Duca degli Abruzzi”, a quota duemila metri. Da quassù si può
vedere incredibilmente lontano, ma la bellezza del panorama passa
in secondo piano rispetto ai colori stupefacenti del tramonto che
inizia…Foto di rito e giù per i tornanti verso la nostra
cenetta ( alla faccia della cenetta! In pieno stile abruzzese,
ingurgitiamo pappardelle con ragù di castrato e pecora in umido,
il tutto innaffiato con un ottimo Montepulciano d’Abruzzo…ed
infine una buonissima torta alla frutta abilmente confezionata
dalla moglie del proprietario: ah! Com’è dura la vita del
mototurista!!! BURP!). Tutto veramente ottimo…Bene! Adesso è
ora di andare a nanna.
06.08.2003
Ci svegliamo di buon mattino; la pecora di ieri sera si dibatte
ancora un po’ nel nostro stomaco, ma riusciamo ugualmente a fare
un po’ di spazio per cornetti e caffè, poi inforchiamo la moto.
Ci dirigiamo verso S. Demetrio Né Vestini: il posto, di per sé,
non è niente di particolare, ma il suo territorio cela gioielli
naturali davvero notevoli, come le meravigliose Grotte di Stiffe.
Con l’ausilio di una guida visitiamo le maestose sale
sotterranee, decorate da ardite architetture di stalattiti,
stalagmiti e colonne, capolavori della natura che sfidano i
millenni, ma talmente delicati che il semplice contatto di una
mano umana basterebbe ad annientarli! Seguiamo il corso del fiume
sotterraneo che capricciosamente percorre le grotte, sottraendosi
alla vista ed all’udito nella grande “sala del silenzio”,
per poi riapparire fragoroso in una gigantesca sala successiva,
dove con un salto di oltre trenta metri crea una fantastica
cascata. Apprendiamo dalla guida che purtroppo, nemmeno queste
acque hanno potuto sottrarsi all’inquinamento derivante dagli
agglomerati urbani che costeggiano il fiume nel tratto esterno del
suo corso…
Lasciati a malincuore i dieci gradi fissi delle grotte di Stiffe,
ci dirigiamo verso il cuore del Parco Nazionale d’Abruzzo, e
sotto un sole rovente attraversiamo borghi montani come Goriano
Sicoli, Ortona del Marsi, fino all’arcifamosa Pescasseroli: la
strada attraversa boschi integri e solenni nella loro oscurità.
Ci troviamo più volte a scherzare urlando a squarciagola –dalla
moto in marcia- il nome di “Sandrino”: Sandrino è un Orso
Marsicano, curato dai volontari del parco e poi rimesso in libertà;
la sua storia ci era stata raccontata qualche tempo prima da una
nostra amica biologa che avendo prestato qui servizio come
volontaria, aveva avuto la fortuna di conoscerlo. Comunque, il
plantigrado non ha mostrato alcun interesse per il nostro
richiamo… e non s’è fatto vedere. J
Giunti a Pescasseroli, dopo un breve giretto di perlustrazione a
piedi, gustiamo degli ottimi panini al prosciutto crudo, fatti con
il particolare pane casereccio abruzzese (a giudicare dal gusto,
credo che venga confezionato con farina di segale…ma non ne sono
certo).
Da Pescasseroli ci muoviamo ancora in direzione sud, passando per
Villetta Barrea ed il suo splendido lago, per andare a visitare il
Parco Zoo faunistico di Castel di Sangro; arrivati a destinazione,
dopo avere imposto alla nostra povera moto qualche chilometro di
malefica strada bianca (la Suzuki gsx-f 750 non è proprio fatta
per lo sterrato!), paghiamo per i biglietti d’ingresso
l’iperbolica somma di Euro 15,00 a capoccia: ma cosa daranno da
mangiare agli animali…il caviale?
Ora, nel parco di Castel di Sangro gli orsi li vediamo
davvero…decisamente, però, avremmo preferito vederli in libertà,
nei boschi, piuttosto che in gabbia: uno spettacolo che –devo
dire-rattrista un po’.
Rimane a consolarci il sapere che il parco funziona- in qualche
modo- da organo di tutela delle specie a rischio di estinzione,
favorendone la riproduzione.
Conclusa la visita al parco bighelloniamo ancora un po’, finché
ci rendiamo conto che è già quasi sera, siamo piuttosto lontani
da “casa”, e soprattutto siamo stanchi morti…con un po’ di
buona volontà –perciò- punto la ruota anteriore verso Assergi
e resisto in stato di semiappisolamento per un paio di centinaia
di Km ancora (Totale della giornata, quasi 500 Km di strade
statali e stradine, niente autostrada). Poi di nuovo una cenetta
in stile abruzzese e finalmente guadagniamo la posizione
orizzontale. Buonanotte.
07.08.2003
Una notte di sonno ci ritempra e ci fa quasi dimenticare le
fatiche di ieri (a noi si…ma il nostro fondoschiena ha una
memoria da elefante!).
Ci svegliamo con un entusiasmo particolare: oggi si cambia
regione; la nostra meta è l’Umbria!
Ci mettiamo in marcia e sotto il sole impietoso delle 11:00
arriviamo alla cascata delle Marmore: che meraviglia! Una nube di
particelle di freschissima acqua ci avvolge, facendoci dimenticare
il clima asfissiante della zona. Lo spettacolo della cascata è
davvero fantastico, ed ai nostri occhi, digiuni di cascate
monumentali, risulta stupefacente: chissà che effetto deve fare
vedere le Niagara Falls, oppure le cascate Vittoria…La bellezza
del luogo ci induce a dimenticare la moto per un paio d’ore ed a
passeggiare per i sentieri realizzati intorno alla cascata (oddio:
“passeggiare” è un’espressione eufemistica ed inadeguata;
in effetti si è trattato di una massacrante marcialonga in
discesa, seguita da una allucinante scalata per risalire il monte
e raggiungere finalmente la moto!).
BREVE STORIA DI MAURO
A questo punto, non posso esimermi dal dedicare una breve nota ad
un personaggio che certamente non dimenticherò mai: sto parlando
di Mauro.
Mauro è un simpatico signore di mezza età, credo romano, che si
trovava a percorrere il sentiero n. 1 della cascata proprio
davanti a noi. L’uomo, evidentemente, era intento a fare della
ginnastica riabilitativa…forse per combattere problemi di
deambulazione: fatto sta che usava un bastone ed era tenuto
sottobraccio da un accompagnatore…probabilmente un volontario o
qualcosa del genere (si trattava di un gruppo costituito da
diverse persone con difficoltà a deambulare, ciascuna con il suo
accompagnatore).
Mauro era abbigliato in modo molto casual: maglietta, pantaloncino
corto, e, cosa molto importante, ciabattine da spiaggia.
Ora, la grottesca situazione che descriverò potrebbe farmi
apparire come un insensibile, ma devo precisare che Mauro –in
realtà- non mostrava alcun handicap evidente: magari si trovava lì
solo per fare riabilitazione dopo un frattura o per qualche altro
inconveniente di poco conto.
Bene, come vi ho anticipato, Mauro indossava delle ciabattine da
spiaggia: evidentemente, calzature del tutto inadeguate a
percorrere uno scivolosissimo sentiero di terra battuta e sassi,
in discesa, con una fortissima pendenza; fatto sta che nonostante
l’ausilio del bastone, il poveretto, ad ogni tentativo di fare
un passo, prendeva uno scivolone, e soltanto il braccio robusto
del suo accompagnatore lo salvava ogni volta da una sforbiciata
fantozziana. Se gli avessimo lanciato un pallone da dietro, si
sarebbe certamente prodotto in una rovesciata degna del miglior
Pelè. Come se ciò non bastasse, ad ogni scivolone, il buon Mauro
sciorinava –in dialetto romanesco- una tale sequela di parolacce
da poterne stilare un voluminoso dizionario.
Il suo accompagnatore, campione di solidarietà e di buona volontà,
cercava di fornire al poveretto –oltre all’appiglio sicuro del
suo muscoloso braccio- anche un certo supporto psicologico,
spronandolo per come meglio poteva: “forza Mauro, forza
Mauro!!!”; ma la risposta di Mauro spegneva sul nascere i suoi
ardori da crocerossino: “Forza??? Forza un par de balle! Ma
perché m’avete portato in questo posto de ‘merda!”.
Ora, vi è mai capitato, in preda all’eccessiva stanchezza, di
essere colti da incontrollabili accessi di risate, scatenati
magari da una scena che, in situazioni normali, vi avrebbe appena
strappato un sorriso?
Ebbene, in quella tragicomica situazione, il nostro stato di
prostrazione fisica e l’inevitabile comicità della scena, ci
hanno fatto talmente ridere da costringerci ad allontanarci il più
possibile da Mauro, sia per evitare non voluti “incidenti
diplomatici”, sia per evitare che le risate ci facessero
dissipare inutilmente le nostre poche energie, preziosissime in
quel frangente.
In pochi attimi perciò, complice l’ovvia disparità di
“condizione atletica”, sorpassiamo il gruppo di handicappati,
e proseguiamo la nostra estenuante marcia verso il fondovalle.
Dimenticato Mauro, raggiungiamo la parte più bassa della cascata:
è davvero bellissima, e gli impianti realizzati – sentieri e
ponticelli sulle impetuose acque- consentono di apprezzarla nel
migliore dei modi; manca una cosa sola: l’ascensore!
Ed a proposito di ascensore, ecco che arrivano le dolenti note:
visitato tutto il visitabile, giunge –ferale - il momento della
risalita. Il depliant fornitoci dalla biglietteria, che illustra i
sentieri della cascata, informa sui tempi medi della
“passeggiata”: circa 20 minuti per scendere a valle; circa 40
minuti per risalire. A dire la verità, la previsione ci pare
–ancor prima di cominciare- assai ottimistica.
Comunque, rinfrancati dalla fresca nube di goccioline sprigionata
dalla cateratta, aggrediamo di buona lena il fianco della
montagna.
Le prime centinaia di metri, in ripidissima salita, ci stroncano
immediatamente. Quando realizziamo che conviene procedere a tappe,
la nostra frequenza cardiaca è già su livelli preoccupanti: ci
fermiamo per una sosta.
Il mio colorito è decisamente sul paonazzo: avrei bisogno di un
cardiologo; visto –però- che qualche turista, assai più magro
di me (115 kg) e molto più agile, tira innanzi senza fermarsi a
riposare, mosso da un impeto di orgoglio stupido ed inopportuno,
faccio appello a tutte le mie forze e decido di riprendere il mio
disperato cammino verso la moto.
Lungo l’interminabile marcia verso la vetta, i miei occhi vedono
uomini e donne sopraffatti da sofferenze indicibili…
Un signore di mezz’età, un po’ in sovrappeso (assai meno di
me), dal colorito ormai violaceo, fermo in mezzo al sentiero,
bacia la moglie, e con atteggiamento severo le dice: “porta con
te il bambino…non pensare a me, andate avanti; senza di me,
forse, ce la farete…” .
Poco oltre una vecchina, riversa tra le erbacce, al margine del
sentiero, sta ormai rantolando: a pochi passi, dopo essersi
consultati tra loro, i parenti , con la morte nel cuore,
deliberano rassegnati “dobbiamo lasciarla lì, non c’è altro
da fare; non ce la farebbe mai…”.
Alle mie spalle, mia moglie mi segue ancora…è stanca e non
parla: cerca di non sprecare le poche preziosissime energie. Credo
che pensi ai suoi nipotini, ancora in tenera età…la paura di
non riuscire a rivederli la tiene ancora in piedi, e la spinge ad
andare avanti.
Ancora un po’ di strada; comincio a temere che non ce la farò…decido
di sostare in un piccolo slargo del sentiero. C’è un signore
dall’aria esausta che urla al telefonino. Intuisco che si tratta
di un medico. Sfruttando chissà quali conoscenze, è riuscito a
contattare telefonicamente il responsabile del servizio locale di
elisoccorso e sta cercando disperatamente di ottenere
l’intervento di un elicottero….
Uh? Cosa? E va bene, va bene, non fate quelle facce…Ok, lo
ammetto, non ho visto vecchine rantolare, e non ho sentito nessuno
chiamare l’elisoccorso…Mi ero lasciato prendere la mano dal
racconto…Comunque, in un momento di sosta, un turista romano mi
rivolge la parola e mi dice (questa volta è vero) “ Ce
vorrebbero i cani terranova per venirce a piglià…”.
Tornando a bomba…ripartiamo.
Siamo veramente distrutti dalla stanchezza e procediamo con la
forza della disperazione, quando all’improvviso…una voce
conosciuta ci giunge all’orecchio… “Forza Mauro, dai, forza
Mauro…”. “Forza??? Forza un par de ball…”, e giù uno
scivolone!
Non potevamo crederci…Era Lui! Mauro! Con il bastone, le
ciabatte e tutto il resto!
Evidentemente il suo gruppo non è arrivato sino a valle, ed ora,
risalendo, ce lo troviamo di nuovo davanti!
Non riusciamo a trattenerci…scoppiamo in una risata folle ed
incontrollabile, che consuma le nostre ultime energie…dobbiamo
fermarci a riposare.
Riusciremo a guadagnare la vetta –e la moto- soltanto nel primo
pomeriggio.
Caro Mauro…non credo proprio che tu leggerai mai queste righe;
comunque vorrei dirti…che mi ricorderò di te per un bel
pezzo…sei davvero “troppo forte”!
***
Concluso l’episodio di Mauro, riguadagnata la moto, ripreso
fiato, cominciamo a bighellonare un po’ per l’Umbria.
Dopo un breve tratto di rovente autostrada giungiamo alla
deliziosa Orvieto.
Il Duomo, purtroppo, è ancora in fase di restauro e la sua
facciata è interamente coperta dai ponteggi. L’interno, però,
è bellissimo: nonostante sia vietato fare fotografie, decido di
disabilitare il flash della mia macchina fotografica automatica e
riesco a fare qualche scatto inoffensivo.
Facciamo una breve passeggiata per le graziosissime stradine
medievali del centro: percorriamo ben poca strada…le nostre
gambe sono ancora seriamente provate! Scoviamo una salumeria
arredata all’antica: per me, un’attrazione irresistibile.
Ricordandoci di non avere ancora pranzato (è pomeriggio
inoltrato) ci concediamo un paio di panini imbottiti con ottimi
salumi locali.
Sarà una sciocchezzuola, ma rimango colpito dal modo dal modo in
cui il salumiere affetta il prosciutto crudo (dalle mie parti
ormai si usa esclusivamente l’affettatrice elettrica: orrore).
Il prosciutto viene fissato in una sorta di vetusta tagliola da
caccia, saldamente ancorata al bancone; quindi viene affettato con
un coltello affilatissimo: siamo ai confini della vera e propria
arte! E che sapore!
Foto di rito e quindi di nuovo in marcia, verso Todi: pur
indiscutibilmente bella…Todi non mi pare avere la stessa forza
suggestiva di Orvieto. Ancora qualche scatto e giunge l’ora di
puntare la forcella verso fonte Cerreto: la cena ed un meritato
sonno ci aspettano.
08.08.2003
Oggi si rimane nei paraggi, o almeno così ci ripromettiamo: siamo
un po’ dolenti. Decidiamo di istituire la festa dello
“strafogo day”, e la fissiamo per il giorno otto di agosto:
caspita, ma è oggi... Okay, festeggiamo!
Nel vicino borgo di Paganica, oggi si tiene un mercatino rionale:
qui troviamo i furgoncini attrezzati per la vendita di porchetta
arrosto, altra specialità abruzzese. Che poesia…parcheggiamo la
moto e nell’arco di un paio di minuti divoriamo due favolosi
panini ripieni di enormi fette di porchetta fumante. Una vera
goduria (BURP!).
Satollato il corpo, il nostro spirito di mototuristi chiede
soddisfazione…e sia! Avviamo il motore e ci dirigiamo nuovamente
(ricordate?) verso il borgo di S. Demetrio Né Vestini, e di lì
seguiamo le indicazioni per il lago Sinizzo. Giungiamo innanzi ad
uno stupendo laghetto di forma circolare, con un’acqua di un
brillantissimo verde smeraldo: è proprio il caso di dire
“paradisiaco”. Pochissime persone si godono l’amenità del
luogo, prendendo il sole sulla riva o facendo il bagno nelle
placide acque. C’è pace e silenzio, l’aria è fresca…la
perfezione.
Consiglio davvero a chiunque di voi passi da queste parti di
fermarsi a vedere il lago Sinizzo: ne vale davvero la pena.
Solito mezzo rullino di foto e si riparte in direzione opposta,
verso il lago di Campotosto. Altro stupendo lago, stavolta
piuttosto grandicello, e talmente blu da sembrare il mare. La zona
è nota per la produzione di salumi, in special modo di
mortadella, ma noi non ne approfittiamo: non abbiamo ancora
digerito la porchetta e pregustiamo già un’altra meta
mototuristico-mangereccia!
Per chi di voi intendesse passare da Campotosto, occhio ai bikers
locali! La statale che circonda il lago viene utilizzata –né più
né meno- come una pista…con tutto ciò che ne consegue in
termini di rischi.
Visitato il lago, ci muoviamo in direzione Amatrice, “città
degli spaghetti all’amatriciana” come recita il cartello che
segnala l’ingresso nel centro urbano.
Spinti da un sincero desiderio di arricchimento culturale,
entriamo in una piccola trattoria nel centro della cittadina e ci
facciamo servire due colossali piatti di spaghetti all’amatriciana.
Mmmh! Che culture interessanti, queste popolazioni
dell’interland laziale!
Belli sazi e soddisfatti risaliamo in moto e torniamo verso
“casa”. Visto però, che oggi è lo strafogo day, ci fermiamo
per strada davanti ad uno degli ormai ben conosciuti furgoncini
per comprare degli ottimi “arrosticini” (ricordate? Sono
spiedini di carne di pecora cotti sulla brace), che gusteremo
pochi chilometri più avanti, bivaccando selvaggiamente su di un
pratone con (spettacolare) vista sul Gran Sasso. E’ pomeriggio,
ed il nostro ritorno a casa è previsto per domani…cavolo!
Spendiamo un’oretta per fare un po’ di shopping e comprare
qualche souvenir, poi ci dirigiamo per la seconda volta verso
Campo Imperatore.
Stavolta arriviamo sull’altipiano in un orario più ragionevole,
rispetto al primo giorno, ed abbiamo tutto il tempo di gustarci
l’itinerario. Che esperienza! Percorriamo decine di chilometri
senza incrociare anima viva…umana. Di animali, invece, a
centinaia. Ad un tratto siamo costretti ad accostare, perché la
carreggiata viene invasa da una cavalla che fugge da un cavallo in
preda…all’entusiasmo.
Come risplendono le criniere di questi cavalli bradi, illuminate
dal sole del pomeriggio!
Andiamo, andiamo…I paesaggi si fanno sempre più aperti, sino ad
apparire di un altro pianeta…sconfinati.
Mi fermo un attimo: Raffa raccoglie un paio di sassolini per la
nostra collezione, e li conserva in una tasca della sua Belstaff;
poi, con lo sguardo diretto verso la cima del Gran Sasso, quasi
distrattamente, schiaccia il bottone a pressione e verifica la
corretta chiusura della tasca, affinché non se ne perda il
prezioso contenuto.
Unica traccia di umanità visibile…un gruppo di catapecchie in
legno…mi pare che in questo luogo siano state girate alcune
scene della fortunata serie spaghetti-western “Lo chiamavano
Trinità”. Andiamo, andiamo…Ad un tratto il paesaggio si
restringe, e ci ritroviamo a danzare sui tornanti, piano.
Stiamo procedendo su crinali: al di sopra di noi c’è solo il
cielo…al nostro fianco si distende un bosco. Pini ed abeti.
Verdissimi. Un’aquila, disturbata dal nostro passaggio, si libra
verso il cielo, e comincia a volare in circolo, una decina di
metri sopra i nostri caschi, fissandoci. Io mi fermo per guardarla
a mia volta: lei guarda me ed io guardo lei. Pagherei per sapere
se sta pensando… ed a cosa sta pensando…
Proseguo per chilometri di montagne e boschi, sino a quando
avvistiamo il borgo di Castel del Monte, borgo medievale
caratteristico ed interessante, ma, a dispetto del nome, del tutto
sfornito di castelli. Qui ci fermiamo per riposare qualche minuto.
Sulla strada del ritorno, ripassando da Campo Imperatore ci
gustiamo un tramonto che, nonostante la mia innata prolissità,
non saprei bene come descrivervi. Rosso. Assoluto. Infinito.
Arriviamo in Hotel in serata. Informiamo il proprietario che
abbiamo deciso di non partire l’indomani ma di trattenerci un
giorno in più.
Ceniamo ed andiamo a dormire.
09.08.2003
Oggi decidiamo di andare a Roma. Eh…sì! Perché dovete sapere
che alla tenera età di 31 anni, io Roma non l’avevo mai vista.
Sono stato in tanti posti…ma mai a Roma! Poniamo rimedio.
Non mi soffermerò certamente a descrivere quanto ho visto perché
penso che…ben pochi di voi (più probabilmente nessuno) non
hanno mai visto Roma, e quindi risulterei certamente noioso.
La giornata comunque trascorre serenamente, passeggiando per la
stupenda città, sino al tardo pomeriggio, quando mi accorgo che i
soliti ignoti ci hanno fregato i caschi, che avevo lasciato (come
faccio da sempre) legati alla moto parcheggiata (tra l’altro,
ero specialmente affezionato ad uno di essi, regalatomi da un caro
amico in occasione della mia laurea). Ma porcaccia di quella
grandissima….
Fortunatamente, pur essendo sabato pomeriggio, trovo un negozio
della Dainese aperto…e riesco a comprare due caschi per tornare
a casa. Portafogli alleggerito ma problema superato. Ci rimettiamo
in autostrada in direzione l’Aquila; ne usciamo ad Assergi e
quindi raggiungiamo il nostro Hotel, a Fonte Cerreto. Lungo la
strada del ritorno, mi accorgo di provare una strana sensazione.
Dopo avere respirato per un giorno intero il pesantissimo smog
romano, il rientro tra i profumati boschi d’Abruzzo mi dà un
senso di sollievo, di conforto. Ne sono rimasti proprio pochi di
posti così. Cena ed a nanna: domani dobbiamo proprio andare.
10.08.2003
La sveglia risulta decisamente sgradita. Si parte…purtroppo.
Dopo colazione usciamo al fresco dei pini, nel piccolo giardino
dell’Hotel, dove la moto ci attende silenziosa. Fissiamo
svogliatamente le borse laterali, la borsa da serbatoio…e via
piano piano. Si torna a casa. Il sedere fa un po’ male, ma…che
bel giretto che abbiamo fatto!
Lamps.
Gianfranco Di Benedetto
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