Johnny_lex





  Oggetto: REPORT GIRETTO ITALIA CENTRALE

05.08.2003
La moto è davvero stracarica: forse stavolta abbiamo un po’ esagerato con il bagaglio, confidando nelle 4 borse a disposizione (serbatoio+2 laterali + bauletto).
Dopo meticolosi preparativi, la nostra avventura in sella comincia con un po’ di Km di autostrada: lungo la pessima A1 –che ci annerisce i polmoni più di 20 anni di fumo- solo l’entusiasmo per la nostra vacanzina appena iniziata sbatte la porta in faccia alla noia, tra soste per fare benzina e per bere Gatorade ghiacciato (che a me fa uno strano effetto tipo cocaina).
Stravolti per il gran caldo, lasciamo l’autostrada in prossimità di Cassino, quindi Sora, Avezzano, poi A24 in direzione L’Aquila; superato il capoluogo, imbocchiamo l’uscita di Assergi, e di lì a breve giungiamo a Fonte Cerreto, dove si trova il nostro Hotel, un Relais di montagna immerso in un meraviglioso e fresco bosco di conifere, ai piedi del Gran Sasso.
Qui, dopo avere conosciuto il simpatico proprietario della struttura, un motociclista che con spiccatissimo accento abruzzese si lamenta della moglie perché poco propensa a fare da zavorrina, prendiamo possesso della camera, ed abbandoniamo i bagagli per un primo giro di perlustrazione a moto finalmente scarica.
La prima meta è la più agognata, il vero scopo di questo viaggio: Campo Imperatore, di cui ho letto più volte su svariate riviste motociclistiche, non tradisce affatto le aspettative; è una sconfinata distesa selvaggia, senza tracce di antropizzazione al di fuori del nastro d’asfalto da noi percorso e di qualche baracca di legno adibita a rivendita di arrosticini (tipico snack locale: piccoli spiedini di pecora cotti alla brace). Il primo approccio è davvero spettacolare, ma non ci addentriamo più di tanto nel famoso altipiano: ci ritorneremo in seguito; adesso è tardi, il tramonto è vicino e la temperatura scende più velocemente del sole dietro le maestose cime del Gran Sasso. Incalzati dall’ora di cena e dal nostro stomaco infuriato, decidiamo quindi per un più limitato giretto fino al rifugio “Duca degli Abruzzi”, a quota duemila metri. Da quassù si può vedere incredibilmente lontano, ma la bellezza del panorama passa in secondo piano rispetto ai colori stupefacenti del tramonto che inizia…Foto di rito e giù per i tornanti verso la nostra cenetta ( alla faccia della cenetta! In pieno stile abruzzese, ingurgitiamo pappardelle con ragù di castrato e pecora in umido, il tutto innaffiato con un ottimo Montepulciano d’Abruzzo…ed infine una buonissima torta alla frutta abilmente confezionata dalla moglie del proprietario: ah! Com’è dura la vita del mototurista!!! BURP!). Tutto veramente ottimo…Bene! Adesso è ora di andare a nanna.
06.08.2003
Ci svegliamo di buon mattino; la pecora di ieri sera si dibatte ancora un po’ nel nostro stomaco, ma riusciamo ugualmente a fare un po’ di spazio per cornetti e caffè, poi inforchiamo la moto.
Ci dirigiamo verso S. Demetrio Né Vestini: il posto, di per sé, non è niente di particolare, ma il suo territorio cela gioielli naturali davvero notevoli, come le meravigliose Grotte di Stiffe.
Con l’ausilio di una guida visitiamo le maestose sale sotterranee, decorate da ardite architetture di stalattiti, stalagmiti e colonne, capolavori della natura che sfidano i millenni, ma talmente delicati che il semplice contatto di una mano umana basterebbe ad annientarli! Seguiamo il corso del fiume sotterraneo che capricciosamente percorre le grotte, sottraendosi alla vista ed all’udito nella grande “sala del silenzio”, per poi riapparire fragoroso in una gigantesca sala successiva, dove con un salto di oltre trenta metri crea una fantastica cascata. Apprendiamo dalla guida che purtroppo, nemmeno queste acque hanno potuto sottrarsi all’inquinamento derivante dagli agglomerati urbani che costeggiano il fiume nel tratto esterno del suo corso…
Lasciati a malincuore i dieci gradi fissi delle grotte di Stiffe, ci dirigiamo verso il cuore del Parco Nazionale d’Abruzzo, e sotto un sole rovente attraversiamo borghi montani come Goriano Sicoli, Ortona del Marsi, fino all’arcifamosa Pescasseroli: la strada attraversa boschi integri e solenni nella loro oscurità. Ci troviamo più volte a scherzare urlando a squarciagola –dalla moto in marcia- il nome di “Sandrino”: Sandrino è un Orso Marsicano, curato dai volontari del parco e poi rimesso in libertà; la sua storia ci era stata raccontata qualche tempo prima da una nostra amica biologa che avendo prestato qui servizio come volontaria, aveva avuto la fortuna di conoscerlo. Comunque, il plantigrado non ha mostrato alcun interesse per il nostro richiamo… e non s’è fatto vedere. J
Giunti a Pescasseroli, dopo un breve giretto di perlustrazione a piedi, gustiamo degli ottimi panini al prosciutto crudo, fatti con il particolare pane casereccio abruzzese (a giudicare dal gusto, credo che venga confezionato con farina di segale…ma non ne sono certo).
Da Pescasseroli ci muoviamo ancora in direzione sud, passando per Villetta Barrea ed il suo splendido lago, per andare a visitare il Parco Zoo faunistico di Castel di Sangro; arrivati a destinazione, dopo avere imposto alla nostra povera moto qualche chilometro di malefica strada bianca (la Suzuki gsx-f 750 non è proprio fatta per lo sterrato!), paghiamo per i biglietti d’ingresso l’iperbolica somma di Euro 15,00 a capoccia: ma cosa daranno da mangiare agli animali…il caviale?
Ora, nel parco di Castel di Sangro gli orsi li vediamo davvero…decisamente, però, avremmo preferito vederli in libertà, nei boschi, piuttosto che in gabbia: uno spettacolo che –devo dire-rattrista un po’.
Rimane a consolarci il sapere che il parco funziona- in qualche modo- da organo di tutela delle specie a rischio di estinzione, favorendone la riproduzione.
Conclusa la visita al parco bighelloniamo ancora un po’, finché ci rendiamo conto che è già quasi sera, siamo piuttosto lontani da “casa”, e soprattutto siamo stanchi morti…con un po’ di buona volontà –perciò- punto la ruota anteriore verso Assergi e resisto in stato di semiappisolamento per un paio di centinaia di Km ancora (Totale della giornata, quasi 500 Km di strade statali e stradine, niente autostrada). Poi di nuovo una cenetta in stile abruzzese e finalmente guadagniamo la posizione orizzontale. Buonanotte.
07.08.2003
Una notte di sonno ci ritempra e ci fa quasi dimenticare le fatiche di ieri (a noi si…ma il nostro fondoschiena ha una memoria da elefante!).
Ci svegliamo con un entusiasmo particolare: oggi si cambia regione; la nostra meta è l’Umbria!
Ci mettiamo in marcia e sotto il sole impietoso delle 11:00 arriviamo alla cascata delle Marmore: che meraviglia! Una nube di particelle di freschissima acqua ci avvolge, facendoci dimenticare il clima asfissiante della zona. Lo spettacolo della cascata è davvero fantastico, ed ai nostri occhi, digiuni di cascate monumentali, risulta stupefacente: chissà che effetto deve fare vedere le Niagara Falls, oppure le cascate Vittoria…La bellezza del luogo ci induce a dimenticare la moto per un paio d’ore ed a passeggiare per i sentieri realizzati intorno alla cascata (oddio: “passeggiare” è un’espressione eufemistica ed inadeguata; in effetti si è trattato di una massacrante marcialonga in discesa, seguita da una allucinante scalata per risalire il monte e raggiungere finalmente la moto!).
BREVE STORIA DI MAURO
A questo punto, non posso esimermi dal dedicare una breve nota ad un personaggio che certamente non dimenticherò mai: sto parlando di Mauro.
Mauro è un simpatico signore di mezza età, credo romano, che si trovava a percorrere il sentiero n. 1 della cascata proprio davanti a noi. L’uomo, evidentemente, era intento a fare della ginnastica riabilitativa…forse per combattere problemi di deambulazione: fatto sta che usava un bastone ed era tenuto sottobraccio da un accompagnatore…probabilmente un volontario o qualcosa del genere (si trattava di un gruppo costituito da diverse persone con difficoltà a deambulare, ciascuna con il suo accompagnatore).
Mauro era abbigliato in modo molto casual: maglietta, pantaloncino corto, e, cosa molto importante, ciabattine da spiaggia.
Ora, la grottesca situazione che descriverò potrebbe farmi apparire come un insensibile, ma devo precisare che Mauro –in realtà- non mostrava alcun handicap evidente: magari si trovava lì solo per fare riabilitazione dopo un frattura o per qualche altro inconveniente di poco conto.
Bene, come vi ho anticipato, Mauro indossava delle ciabattine da spiaggia: evidentemente, calzature del tutto inadeguate a percorrere uno scivolosissimo sentiero di terra battuta e sassi, in discesa, con una fortissima pendenza; fatto sta che nonostante l’ausilio del bastone, il poveretto, ad ogni tentativo di fare un passo, prendeva uno scivolone, e soltanto il braccio robusto del suo accompagnatore lo salvava ogni volta da una sforbiciata fantozziana. Se gli avessimo lanciato un pallone da dietro, si sarebbe certamente prodotto in una rovesciata degna del miglior Pelè. Come se ciò non bastasse, ad ogni scivolone, il buon Mauro sciorinava –in dialetto romanesco- una tale sequela di parolacce da poterne stilare un voluminoso dizionario.
Il suo accompagnatore, campione di solidarietà e di buona volontà, cercava di fornire al poveretto –oltre all’appiglio sicuro del suo muscoloso braccio- anche un certo supporto psicologico, spronandolo per come meglio poteva: “forza Mauro, forza Mauro!!!”; ma la risposta di Mauro spegneva sul nascere i suoi ardori da crocerossino: “Forza??? Forza un par de balle! Ma perché m’avete portato in questo posto de ‘merda!”.
Ora, vi è mai capitato, in preda all’eccessiva stanchezza, di essere colti da incontrollabili accessi di risate, scatenati magari da una scena che, in situazioni normali, vi avrebbe appena strappato un sorriso?
Ebbene, in quella tragicomica situazione, il nostro stato di prostrazione fisica e l’inevitabile comicità della scena, ci hanno fatto talmente ridere da costringerci ad allontanarci il più possibile da Mauro, sia per evitare non voluti “incidenti diplomatici”, sia per evitare che le risate ci facessero dissipare inutilmente le nostre poche energie, preziosissime in quel frangente.
In pochi attimi perciò, complice l’ovvia disparità di “condizione atletica”, sorpassiamo il gruppo di handicappati, e proseguiamo la nostra estenuante marcia verso il fondovalle.
Dimenticato Mauro, raggiungiamo la parte più bassa della cascata: è davvero bellissima, e gli impianti realizzati – sentieri e ponticelli sulle impetuose acque- consentono di apprezzarla nel migliore dei modi; manca una cosa sola: l’ascensore!
Ed a proposito di ascensore, ecco che arrivano le dolenti note: visitato tutto il visitabile, giunge –ferale - il momento della risalita. Il depliant fornitoci dalla biglietteria, che illustra i sentieri della cascata, informa sui tempi medi della “passeggiata”: circa 20 minuti per scendere a valle; circa 40 minuti per risalire. A dire la verità, la previsione ci pare –ancor prima di cominciare- assai ottimistica.
Comunque, rinfrancati dalla fresca nube di goccioline sprigionata dalla cateratta, aggrediamo di buona lena il fianco della montagna.
Le prime centinaia di metri, in ripidissima salita, ci stroncano immediatamente. Quando realizziamo che conviene procedere a tappe, la nostra frequenza cardiaca è già su livelli preoccupanti: ci fermiamo per una sosta.
Il mio colorito è decisamente sul paonazzo: avrei bisogno di un cardiologo; visto –però- che qualche turista, assai più magro di me (115 kg) e molto più agile, tira innanzi senza fermarsi a riposare, mosso da un impeto di orgoglio stupido ed inopportuno, faccio appello a tutte le mie forze e decido di riprendere il mio disperato cammino verso la moto.
Lungo l’interminabile marcia verso la vetta, i miei occhi vedono uomini e donne sopraffatti da sofferenze indicibili…
Un signore di mezz’età, un po’ in sovrappeso (assai meno di me), dal colorito ormai violaceo, fermo in mezzo al sentiero, bacia la moglie, e con atteggiamento severo le dice: “porta con te il bambino…non pensare a me, andate avanti; senza di me, forse, ce la farete…” .
Poco oltre una vecchina, riversa tra le erbacce, al margine del sentiero, sta ormai rantolando: a pochi passi, dopo essersi consultati tra loro, i parenti , con la morte nel cuore, deliberano rassegnati “dobbiamo lasciarla lì, non c’è altro da fare; non ce la farebbe mai…”.
Alle mie spalle, mia moglie mi segue ancora…è stanca e non parla: cerca di non sprecare le poche preziosissime energie. Credo che pensi ai suoi nipotini, ancora in tenera età…la paura di non riuscire a rivederli la tiene ancora in piedi, e la spinge ad andare avanti.
Ancora un po’ di strada; comincio a temere che non ce la farò…decido di sostare in un piccolo slargo del sentiero. C’è un signore dall’aria esausta che urla al telefonino. Intuisco che si tratta di un medico. Sfruttando chissà quali conoscenze, è riuscito a contattare telefonicamente il responsabile del servizio locale di elisoccorso e sta cercando disperatamente di ottenere l’intervento di un elicottero….
Uh? Cosa? E va bene, va bene, non fate quelle facce…Ok, lo ammetto, non ho visto vecchine rantolare, e non ho sentito nessuno chiamare l’elisoccorso…Mi ero lasciato prendere la mano dal racconto…Comunque, in un momento di sosta, un turista romano mi rivolge la parola e mi dice (questa volta è vero) “ Ce vorrebbero i cani terranova per venirce a piglià…”.
Tornando a bomba…ripartiamo.
Siamo veramente distrutti dalla stanchezza e procediamo con la forza della disperazione, quando all’improvviso…una voce conosciuta ci giunge all’orecchio… “Forza Mauro, dai, forza Mauro…”. “Forza??? Forza un par de ball…”, e giù uno scivolone!
Non potevamo crederci…Era Lui! Mauro! Con il bastone, le ciabatte e tutto il resto!
Evidentemente il suo gruppo non è arrivato sino a valle, ed ora, risalendo, ce lo troviamo di nuovo davanti!
Non riusciamo a trattenerci…scoppiamo in una risata folle ed incontrollabile, che consuma le nostre ultime energie…dobbiamo fermarci a riposare.
Riusciremo a guadagnare la vetta –e la moto- soltanto nel primo pomeriggio.
Caro Mauro…non credo proprio che tu leggerai mai queste righe; comunque vorrei dirti…che mi ricorderò di te per un bel pezzo…sei davvero “troppo forte”!

***
Concluso l’episodio di Mauro, riguadagnata la moto, ripreso fiato, cominciamo a bighellonare un po’ per l’Umbria.
Dopo un breve tratto di rovente autostrada giungiamo alla deliziosa Orvieto.
Il Duomo, purtroppo, è ancora in fase di restauro e la sua facciata è interamente coperta dai ponteggi. L’interno, però, è bellissimo: nonostante sia vietato fare fotografie, decido di disabilitare il flash della mia macchina fotografica automatica e riesco a fare qualche scatto inoffensivo.
Facciamo una breve passeggiata per le graziosissime stradine medievali del centro: percorriamo ben poca strada…le nostre gambe sono ancora seriamente provate! Scoviamo una salumeria arredata all’antica: per me, un’attrazione irresistibile. Ricordandoci di non avere ancora pranzato (è pomeriggio inoltrato) ci concediamo un paio di panini imbottiti con ottimi salumi locali.
Sarà una sciocchezzuola, ma rimango colpito dal modo dal modo in cui il salumiere affetta il prosciutto crudo (dalle mie parti ormai si usa esclusivamente l’affettatrice elettrica: orrore).
Il prosciutto viene fissato in una sorta di vetusta tagliola da caccia, saldamente ancorata al bancone; quindi viene affettato con un coltello affilatissimo: siamo ai confini della vera e propria arte! E che sapore!
Foto di rito e quindi di nuovo in marcia, verso Todi: pur indiscutibilmente bella…Todi non mi pare avere la stessa forza suggestiva di Orvieto. Ancora qualche scatto e giunge l’ora di puntare la forcella verso fonte Cerreto: la cena ed un meritato sonno ci aspettano.
08.08.2003
Oggi si rimane nei paraggi, o almeno così ci ripromettiamo: siamo un po’ dolenti. Decidiamo di istituire la festa dello “strafogo day”, e la fissiamo per il giorno otto di agosto: caspita, ma è oggi... Okay, festeggiamo!
Nel vicino borgo di Paganica, oggi si tiene un mercatino rionale: qui troviamo i furgoncini attrezzati per la vendita di porchetta arrosto, altra specialità abruzzese. Che poesia…parcheggiamo la moto e nell’arco di un paio di minuti divoriamo due favolosi panini ripieni di enormi fette di porchetta fumante. Una vera goduria (BURP!).
Satollato il corpo, il nostro spirito di mototuristi chiede soddisfazione…e sia! Avviamo il motore e ci dirigiamo nuovamente (ricordate?) verso il borgo di S. Demetrio Né Vestini, e di lì seguiamo le indicazioni per il lago Sinizzo. Giungiamo innanzi ad uno stupendo laghetto di forma circolare, con un’acqua di un brillantissimo verde smeraldo: è proprio il caso di dire “paradisiaco”. Pochissime persone si godono l’amenità del luogo, prendendo il sole sulla riva o facendo il bagno nelle placide acque. C’è pace e silenzio, l’aria è fresca…la perfezione.
Consiglio davvero a chiunque di voi passi da queste parti di fermarsi a vedere il lago Sinizzo: ne vale davvero la pena.
Solito mezzo rullino di foto e si riparte in direzione opposta, verso il lago di Campotosto. Altro stupendo lago, stavolta piuttosto grandicello, e talmente blu da sembrare il mare. La zona è nota per la produzione di salumi, in special modo di mortadella, ma noi non ne approfittiamo: non abbiamo ancora digerito la porchetta e pregustiamo già un’altra meta mototuristico-mangereccia!
Per chi di voi intendesse passare da Campotosto, occhio ai bikers locali! La statale che circonda il lago viene utilizzata –né più né meno- come una pista…con tutto ciò che ne consegue in termini di rischi.
Visitato il lago, ci muoviamo in direzione Amatrice, “città degli spaghetti all’amatriciana” come recita il cartello che segnala l’ingresso nel centro urbano.
Spinti da un sincero desiderio di arricchimento culturale, entriamo in una piccola trattoria nel centro della cittadina e ci facciamo servire due colossali piatti di spaghetti all’amatriciana. Mmmh! Che culture interessanti, queste popolazioni dell’interland laziale!
Belli sazi e soddisfatti risaliamo in moto e torniamo verso “casa”. Visto però, che oggi è lo strafogo day, ci fermiamo per strada davanti ad uno degli ormai ben conosciuti furgoncini per comprare degli ottimi “arrosticini” (ricordate? Sono spiedini di carne di pecora cotti sulla brace), che gusteremo pochi chilometri più avanti, bivaccando selvaggiamente su di un pratone con (spettacolare) vista sul Gran Sasso. E’ pomeriggio, ed il nostro ritorno a casa è previsto per domani…cavolo!
Spendiamo un’oretta per fare un po’ di shopping e comprare qualche souvenir, poi ci dirigiamo per la seconda volta verso Campo Imperatore.
Stavolta arriviamo sull’altipiano in un orario più ragionevole, rispetto al primo giorno, ed abbiamo tutto il tempo di gustarci l’itinerario. Che esperienza! Percorriamo decine di chilometri senza incrociare anima viva…umana. Di animali, invece, a centinaia. Ad un tratto siamo costretti ad accostare, perché la carreggiata viene invasa da una cavalla che fugge da un cavallo in preda…all’entusiasmo.
Come risplendono le criniere di questi cavalli bradi, illuminate dal sole del pomeriggio!
Andiamo, andiamo…I paesaggi si fanno sempre più aperti, sino ad apparire di un altro pianeta…sconfinati.
Mi fermo un attimo: Raffa raccoglie un paio di sassolini per la nostra collezione, e li conserva in una tasca della sua Belstaff; poi, con lo sguardo diretto verso la cima del Gran Sasso, quasi distrattamente, schiaccia il bottone a pressione e verifica la corretta chiusura della tasca, affinché non se ne perda il prezioso contenuto.
Unica traccia di umanità visibile…un gruppo di catapecchie in legno…mi pare che in questo luogo siano state girate alcune scene della fortunata serie spaghetti-western “Lo chiamavano Trinità”. Andiamo, andiamo…Ad un tratto il paesaggio si restringe, e ci ritroviamo a danzare sui tornanti, piano.
Stiamo procedendo su crinali: al di sopra di noi c’è solo il cielo…al nostro fianco si distende un bosco. Pini ed abeti. Verdissimi. Un’aquila, disturbata dal nostro passaggio, si libra verso il cielo, e comincia a volare in circolo, una decina di metri sopra i nostri caschi, fissandoci. Io mi fermo per guardarla a mia volta: lei guarda me ed io guardo lei. Pagherei per sapere se sta pensando… ed a cosa sta pensando…
Proseguo per chilometri di montagne e boschi, sino a quando avvistiamo il borgo di Castel del Monte, borgo medievale caratteristico ed interessante, ma, a dispetto del nome, del tutto sfornito di castelli. Qui ci fermiamo per riposare qualche minuto.
Sulla strada del ritorno, ripassando da Campo Imperatore ci gustiamo un tramonto che, nonostante la mia innata prolissità, non saprei bene come descrivervi. Rosso. Assoluto. Infinito.
Arriviamo in Hotel in serata. Informiamo il proprietario che abbiamo deciso di non partire l’indomani ma di trattenerci un giorno in più.
Ceniamo ed andiamo a dormire.
09.08.2003
Oggi decidiamo di andare a Roma. Eh…sì! Perché dovete sapere che alla tenera età di 31 anni, io Roma non l’avevo mai vista. Sono stato in tanti posti…ma mai a Roma! Poniamo rimedio.
Non mi soffermerò certamente a descrivere quanto ho visto perché penso che…ben pochi di voi (più probabilmente nessuno) non hanno mai visto Roma, e quindi risulterei certamente noioso.
La giornata comunque trascorre serenamente, passeggiando per la stupenda città, sino al tardo pomeriggio, quando mi accorgo che i soliti ignoti ci hanno fregato i caschi, che avevo lasciato (come faccio da sempre) legati alla moto parcheggiata (tra l’altro, ero specialmente affezionato ad uno di essi, regalatomi da un caro amico in occasione della mia laurea). Ma porcaccia di quella grandissima….
Fortunatamente, pur essendo sabato pomeriggio, trovo un negozio della Dainese aperto…e riesco a comprare due caschi per tornare a casa. Portafogli alleggerito ma problema superato. Ci rimettiamo in autostrada in direzione l’Aquila; ne usciamo ad Assergi e quindi raggiungiamo il nostro Hotel, a Fonte Cerreto. Lungo la strada del ritorno, mi accorgo di provare una strana sensazione. Dopo avere respirato per un giorno intero il pesantissimo smog romano, il rientro tra i profumati boschi d’Abruzzo mi dà un senso di sollievo, di conforto. Ne sono rimasti proprio pochi di posti così. Cena ed a nanna: domani dobbiamo proprio andare.
10.08.2003
La sveglia risulta decisamente sgradita. Si parte…purtroppo. Dopo colazione usciamo al fresco dei pini, nel piccolo giardino dell’Hotel, dove la moto ci attende silenziosa. Fissiamo svogliatamente le borse laterali, la borsa da serbatoio…e via piano piano. Si torna a casa. Il sedere fa un po’ male, ma…che bel giretto che abbiamo fatto!
Lamps.
Gianfranco Di Benedetto